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Restauro di prim’ordine

Facemmo un “restauro” di prim’ordine e la sorgentina tornò a nuova vita regalando piacevoli passeggiate serali anche a moltissimi ospiti che un po’ curiosi ci “mitragliavano” di domande su i pregi, virtù e qualità nascoste della “nostra“ acqua. Un po’ per orgoglio e un po’ per spavalderia, facemmo sfoggio di tutta la “competenza“ in materia (figuratevi quanta!!). “Tonificante”, “diuretica”, “stimolante”, “corroborante”. E ancora: “purifica i reni, “fortifica il fegato “rende la pelle lucida e vellutata”, “smaltisce i grassi superflui”, “aiuta a conservare un fisico snello e giovanile”, e ciò che più conta, “rende più ardente la vita amorosa”.

Nella penombra, un po’ in disparte, da una voce baritonale (a me sconosciuta): ”tròpa grazia Sant’Antòni”  (troppa grazia Sant’Antonio).

Foto presa da www.alchimiadellepietre.it

Controindicazioni? “Vlàggna scarzèr”?

“Ma non ha nessuna controindicazione “? – ci chiede una graziosa biondina preoccupata per “la linea”, “Ma che controindicazioni del cavolo; “lè sàul un po’ purgativa, ma ròba da pòc” (è soltanto un po’ purgativa, ma piccola cosa).

“Ma ha uno strano sapore”, aggiunge la biondina. La nostra risposta è pronta e convincente: “la pòza ed òv mèrzi ma slàn puzès brisa l’àn srèv piò acua sulfanèina” (puzza di uova marce, ma se non puzzasse non sarebbe più acqua solforosa). Qualche attimo di stupore e poi una risata generale. In fondo la nostra minuziosa descrizione dell’acqua “prodigio”, per quanto scarsamente convincente sul piano scientifico, era tuttavia risultata divertente.

La serata era stata piacevole ed il tempo era “volato via”, velocissimo. Lasciavamo la “sorgente della salute“ non prima però di aver bagnato di nuovo al “nòstar garganòz” (il nostro esofago).

Nel fare il “punto” invochiamo – si fa per dire – un po’ d’indulgenza per via del fatto che nel mettere in chiara evidenza i poteri “taumaturgici” della nostra acqua, ci siamo lasciati prendere da stimoli impetuosi. Cosa volete farci: noi siamo stati “impastati” così. Siamo un po’ passionali. A noi, figlio della “Conca d’Oro”, è il cuore che ci detta le parole; parole sincere.

Ma poi, parliamoci chiaro: sfrondiamo pure un po’ qua e un po’ là; togliamo pure di mezzo qualche aggettivo, forse di troppo, qualche sottolineatura eccessiva, ma non possono sussistere dubbi: il raccontino è veritiero; “anè brisa una fòla” (non è una favola).

Ci corre l’obbligo di ricordare al lettore e alle lettrici, che in questa vena del gesso emiliano-romagnolo (“òcio” – attenzione) hanno origine alcune delle sorgenti minerali più rinomate della nostra regione che captano acque sotterranee passate, appunto, attraverso vene gessose (sono citazioni ricavate da fonti ufficiali).

Ai pòl èsar un malèggn” (ci può essere un maligno) anche un po’ borioso e autosufficiente che ci potrà obiettare: “i sòlit esagerè” (i soliti esagerati). Come replichiamo? Giocando d’attacco: noi abbiamo intesa – con molta umiltà – magnificare un’acqua gradevole e curativa; un “dono prezioso” che madre natura ha voluto fare a noi figli del Borgo dei Gessi e a pochi altri abitanti del pianeta terra.

Se la sorgente – esausta dopo secoli d’attività – ha chiuso per sempre il rubinetto, peccato, non possiamo farci niente; “bòna nòt càt dèg adio” (buona notte e ti dico addio). Se invece vive ancora sotto qualche nascondiglio (vogliamo sperarci) allora, amici tutti, occorre rimboccarsi le maniche: appuntamento lungo il sentiero che porta al’àcua sulfanèina.

Foto di cronistoria.altervista.org

Aprile 1945: fine di una lunga e tragica “Via Crucis”

Con la fine della lunga e tormentata tragedia mondiale tornò la voglia di vivere, di divertirci. Nei locali del “Dopolavoro” (vere schifezze architettoniche inventate dal fascismo) organizzate dal “Fronte della Gioventù” (organizzazione unitaria dei giovani antifascisti) demmo il via alle danze: il ballo con orchestrine improvvisate, di poca spesa, ma il divertimento era sempre assicurato.

Battezzammo anche la sala da ballo: “Conca d’Oro”; una scritta, un nome che faceva spicco all’entrata della sala e che appariva regolarmente nei manifesti e nei volantini di propaganda quasi sempre scritti a mano.

Non vi dico, amici miei, del sarcasmo dei ballerini e delle ballerine provenienti dalle altre borgate e dai comuni circostanti! “Conca d’Oro?”. Per arrivarci si doveva percorrere un tratto di strada incredibilmente polverosa d’estate, e piena di breccia e pozzanghere d’inverno e nei giorni dimaltempo.

Imprecazioni e “rusèri” (rosari) irripetibili, che non finivano più, specie da parte di chi si era “permesso il lusso” (si fa per dire) d’indossare un paio di braghe nuove, o della ragazzina che aveva “spianè un pèr ed schèrp” (aveva calzate un paio di scarpe per la prima volta) e ora se le trovava ricoperte di fanghiglia.

Foto di www.canalensisbrando.it

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